Colobraro (Culuvrérë in dialetto locale) è un comune italiano di 1.150 abitanti della provincia di Matera in Basilicata. È un centro agricolo dell'Appennino lucano nella valle del fiume Sinni. Sorge sulle pendici meridionali del Monte Calvario a 630 m s.l.m., arroccato su uno sprone dal quale domina da sinistra un ampio tratto della valle, nella parte sud-occidentale della provincia al confine con la parte sud-orientale della provincia di Potenza. Il paese si trova nei pressi della Strada statal...
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- Baccalà a ciaruedda: detto anche "zuppetta di baccalà" antica ricetta delle popolazioni nei pressi della costa, basata sull'uso del baccalà che si conservava durante l'inverno e d'estate veniva rinvigorito con i pomodori di stagione. - Cutturidd: secondo piatto della tradizione locale che vede come protagonista indiscusso il capretto, cotto con verdure, diventato poi simbolo della Pasqua, ma in antichità era il piatto unico delle famiglie dei pastori.
Ernesto de Martino (antropologo) e Franco Pinna (fotografo) visitarono più volte a metà degli anni Novanta Colobraro, testimoniando con il loro gruppo di ricerca ,di aver assistito a piccoli episodi di sfortuna legati alle famose "masciare".
Colobraro, storia ed esoterismo:
La storia di Colobraro inizia attorno al cenobio dei monaci basiliani dell’ordine di Santa Maria di Cironofrio e della sua antica beltà, oltre che il centro storico caratteristico conserva ancora qualche resto del castello. Quest’ultimo è stato erett...
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In estate il paese diventa scenario dell’evento “Sogno di una notte a Quel Paese”, rappresentazione teatrale itinerante che attraversa i resti del Castello, la Chiesa di San Nicola, le vie caratteristiche del paese ironizzando sulle superstizioni che animano la storia del posto e che lo rendono il paese “senza nome”.
Il castello è stato costruito tra il 1013 e il 1052 e nonostante oggi sia ridotto a rudere, seppur molto suggestiva, si pensa in base alle ricostruzioni storiche che comprendeva 40 stanze situate al primo piano e a piano terra, insieme alle scuderie, erano presenti enormi magazzini. Proprio grazie alla vastità del piano terra, il castello nel periodo di maggior splendore era considerato tra i più grandi manieri della regione. Negli ultimi tempi il castello è stato sottoposto ad un’opera di restauro e conservazione e dall’antico luogo dove sorgevano le sue torri è possibile ammirare un bellissimo panorama tra cui in lontananza Valsinni, tutta la costa Jonica con il golfo di Taranto, il Monte Coppola e l’antica rabatana di Tursi.
Il comprensorio del Convento francescano e l’annessa Chiesa di Sant’Antonio da Padova sono interamente costruiti in pietra e risalgono al Seicento. Il convento venne eretto per ospitare 12 monaci e fu circondato da un ampio orto. Con al centro un chiostro, nel quale si trova un pozzo dove si narra si rifugino tutti i serpenti dei dintorni, la struttura si sviluppa su due livelli e nella recente restaurazione, tra il 2009 ed il 2015, vennero adibiti a laboratorio demo- etno- antropologico. La chiesa invece è composta da decori di ricordo barocco, costruita a navata unica e coperta a botte, con sei altari. Il maggiore tra questi custodisce un antico organo.
La Chiesa venne costruita nel XII secolo con l’utilizzo della pietra del posto. Il portale esterno, interamente in pietra è la parte che risalta subito all’occhio grazie alla sua imponenza e sempre nella parte esterna è possibile ammirare il campanile. Dalla navata di sinistra si accede direttamente alla cappella del Purgatorio mentre dalla destra si accede alla famosa Cappella dell’Icona. Collegata nel 400 al castello con dei sotteranei ha una cupola di stampo normanno mentre il resto è di evidente natura asiatica. La cappella fu restaurata per volere dei Donnaperna e arricchita con stucchi e decorazioni.
Visite guidate museali, servizio ristorazione con degustazione di olio evo e prodotti tipici, vendita di olio extra vergine di oliva, turismo esperienziale per gruppi italiani e stranieri (su prenotazione), laboratori didattici per le scuole. L'ANTICO FRANTOIO: Come nasce l’olio evo? La visita guidata al Museo dà il via al percorso multisensoriale: con la descrizione dei macchinari, ci si immerge nell'ascolto di come nell’antichità veniva eseguita la raccolta delle olive fino all’estrazione dell’olio. IL FRANTOIO DI GIOVANNI GIALDINO: Risalente alla fine dell’800, è stato restaurato attraverso un curato e certosino restyling sia interno che esterno e rappresenta un complesso di notevole interesse storico per la particolarità di essere rimasto nel tempo inalterato e corredato delle apparecchiature originali che costituiscono una preziosa testimonianza di un mondo agricolo in estinzione. Il recupero ha avuto infatti l’obiettivo di mantenere inalterate le origini ottocentesche sia degli ambienti che dei macchinari presenti: la molazza con tre macine in pietra, il torchio a vite e la pressa idraulica entrambe con fiscoli, antichi attrezzi per la raccolta delle olive, ziri, giare, strumenti di peso e di misura, vari utensili e suppellettili. La realizzazione di un Museo ha avuto come tema la cultura locale dell’olio e come obiettivo la sua divulgazione e la sua promozione ai fini di rafforzare il senso di appartenenza e l’orgoglio per le proprie radici.